La leadership è sicuramente uno degli argomenti organizzativi più studiato. La letteratura in merito è molto ampia e nel tempo si è andata arricchendo di nuovi contributi e ricerche. Possiamo definire la Leadership come “l’uso di un’influenza non coercitiva per dirigere e coordinare le attività dei membri di un gruppo organizzativo verso il raggiungimento degli obbiettivi del gruppo” (Jago, 1982). Questa definizione evidenzia con chiarezza quale sia la funzione della leadership e quali le forze coinvolte nel processo d’influenzamento: le caratteristiche del leader, le caratteristiche del gruppo e le caratteristiche situazionali. Le teorie sulla leadership elaborate sino ad ora rispecchiano l’interesse che i ricercatori hanno mostrato per le diverse caratteristiche elencate sopra. Per semplicità possiamo disporre le teorie lungo un continuum che va dai primi modelli teorici elaborati negli anni 30 ed incentrati sulle caratteristiche del leader. Ai modelli teorici che negli anni 60 hanno dato maggiore rilevanza al contesto. Sino ad arrivare, in tempi più recenti, a quei modelli teorici che si sono centrati sull’interdipendenza tra leader e contesto. La leadership relazionale appartiene sicuramente a questo ultimo filone teorico, ma in parte lo supera ponendo l’accento sull’interdipendenza tra leader, gruppo e contesto. Parlare di leadership relazionale significa, spostare il baricentro della relazione da una prospettiva centrata sull’individuo ad una prospettiva integrata che tiene conto delle intenzionalità dei singoli individui, della complessità del sistema gruppo e delle caratteristiche dell’ambiente in cui il gruppo è immerso. La leadership relazione si basa sull’assunto umanista che il leader non può esistere senza un gruppo, e ancora che il gruppo non può essere considerato semplicemente come una somma di persone che reagisce agli stimoli del leader. Il leader, unitamente al gruppo, esiste come sistema, in un determinato campo e in uno specifico momento.
Se uno stile di Leadership relazionale è auspicabile per ogni sistema organizzativo, diventa quasi necessario in un contesto che, come il nostro, è in continuo cambiamento ed è caratterizzato da un’alta instabilità. Le organizzazioni contemporanee in questo periodo storico si trovano a fronteggiare un cambiamento epocale che sta mettendo a dura prova la loro stressa capacità di sopravvivenza. Per reagire a queste criticità, le organizzazioni si orientano verso nuovi modelli organizzativi e si riorganizzano in strutture a rete, caratterizzate da processi aziendali snelli, da un alta decentralizzazione delle attività e da gerarchie molto ridotte. In questo tipo di organizzazioni le informazioni sensibili e le conoscenze operative non sono più altamente centralizzate, ma bensì distribuite lungo tutto il sistema aziendale. Questo modello organizzativo, incentrato sulla condivisione e sulla connettività, promuove la produzione della conoscenza a tutti i livelli gerarchici, e la sua distribuzione lungo tutto il network aziendale. Il leader, in una situazione del genere, si deve spendere in attività di coordinamento e collegamento. Adoperarsi per acquisire nuove capacità che vanno oltre la gestione delle informazioni ed includono la capacità di creare e gestire relazioni e network. O. Brafman e R.A. Beckstrom nel loro libro Senza Leader riassumono in maniera molto chiara quali sono le differenze esistenti tra un leader orientato al comando ed un leader che si orienta verso uno stile relazionale. Gli autori paragonano i nuovi leader a dei catalizzatori. In chimica il catalizzatore è un elemento o un composto che avvia una reazione senza parteciparvi. Nelle organizzazioni, il Leader (catalizzatore) è la persona che avvia il circolo della relazione senza poi volerne mantenere il controllo.
La leadership in questa maniera si allontana dal concetto di potere inteso come capacità di influenzare o condizionare e diventa capacità di mettere in relazione, coordinare. Il leader rappresenta sempre una figura di riferimento ma in un’ottica relazionale la funzione del leader può essere condivisa ed assunta a turno da ogni partecipante, a seconda del momento e del compito specifico che il gruppo si trova ad affrontare. In una prospettiva relazionale il leader non gestisce più le persone e nemmeno la conoscenza, bensì gli spazi in cui la conoscenza è creata: la cultura intangibile, i network. I team work d’ispirazione hollywoodiano rappresentano un chiaro esempio di come le organizzazioni si siano riorganizzate per fronteggiare le sfide del nuovo millennio. Proprio come in un set cinematografico, i Team work aziendali sono composti da figure professionali altamente specializzate che collaborano per un tempo limitato su un determinato progetto. In una situazione del genere il leader deve munirsi di lenti bifocali e porre la sua attenzione, da un lato alle esigenze e bisogni degli individui all’interno del gruppo, dall’altro allo sviluppo del gruppo stesso come sistema. Può quindi, a seconda della situazione, assumere tre tipi di ruoli a differenza del livello su cui decide d’intervenire. Può supportare l‘individuo, cercando di lavorare sui bisogni personali. Può decidere di agevolare i processi interpersonali, nel caso in cui si vengano a creare situazioni d’incomprensione tra due membri del gruppo. Può decidere d’intervenire come coach per il gruppo come sistema, nel caso in cui il gruppo non riesca a superare un momento di stallo o si trovi ad affrontare un momento di criticità. Mettere in pratica uno stile di leadership relazionale, come si può ben immaginare, è un impegno che va oltre i compiti solitamente attribuiti ad un leader. Un approccio relazionale presuppone che il leader sia consapevole dei propri valori e pregiudizi, che abbia raggiunto una maturità emotiva tale da potersi relazionare con gli altri in maniera completa: accettando la diversità e l’unicità dell’altro. E’ sicuramente un impegno di grande responsabilità che però garantisce un miglioramento dei risultati a livello di performance e soprattutto un miglioramento del clima organizzativo e delle relazioni di gruppo.
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