Come professionisti della cura abbiamo circoscritto le nostre riflessioni su una dimensione più personale ed interpersonale, osservando al microscopio le vite di uomini, donne e bambini in questa pandemia.
Ciò che era esperienza, percezione e contatto umano è diventato virtualità, ottundimento e distacco.
In questo tempo abbiamo provato a trovare un nuovo adattamento, cercando di non tralasciare ciò che con perseveranza ed energia avevamo costruito prima, cercando di fluttuare flessibilmente insieme agli inesorabili cambiamenti di ritmi che la diffusione del virus ci ha imposto. Parallelamente, non abbiamo smesso di cercare spazi e tempi personali anche quando ci hanno obbligato ad una stretta convivenza, in ritirata nelle nostre case.
Alla fine di questo tempo, le "forzate" lontananze da alcuni e contiguità ad altri avranno rafforzato o indebolito ciò che pre-esisteva. Alcuni equilibri relazionali raggiunti faticosamente grazie a spazi misurati sono stati scossi come dopo un terremoto, altri stanno ancora "tremando", altri ancora sono già frutto di una ricostruzione. In certi casi la quarantena avrà dato vita a importanti novità e nuove possibilità. In altri casi drammatici avrà favorito l'irrigidimento di modi di stare al mondo, dolorosi e/o violenti, sprecando così un'occasione di rinnovamento. Tuttavia, crediamo (e speriamo) che molte storie di vita siano state interessate da aggiustamenti utili alla sopravvivenza.
La capacità di resilienza ha aiutato ma spesso non è stata sufficiente. Si contano i traumi psicologici e relazionali come si contano le vittime del virus. È comune come nelle situazioni di emergenza cambi inevitabilmente il contesto socio-culturale che può influenzare profondamente le personalità fino al punto di generare disorientamento. Il movimento, il sentire corporeo e il nostro vivere l'ambiente sono certamente mutati in questi mesi sul piano della dimensione spazio-temporale e sul piano degli scopi, così come sono state rivoluzionate le nostre consapevolezze, le nostre ispirazioni ed espirazioni e le modalità con cui entriamo in relazione con l'altro. Il nostro esistere è cambiato: la respirazione, le sinapsi cerebrali, lo stress accumulato e le fatiche percepite. Abbiamo iniziato a convivere con un profondo e costante stato di allerta e con un corpo provato da numerose somatizzazioni. Come professionisti della cura, siamo preoccupati dall'aumento dei disturbi psicosomatici, dalla desensibilizzazione del corpo, dalla perdita di spontaneità e dall'assenza di presenza a sé stessi, tutte risposte adattive messe in atto dagli individui quando sono stati esposti ad un trauma, specie se significativo come questo. Tuttavia, è bene chiarire e rassicurare sul fatto che la vita delle persone che hanno subito dei traumi e che hanno avuto modo di risolvere le drammatiche conseguenze psicologiche ad esso connesse prende il più delle volte una piega inaspettata con nuovi significati spirituali e valoriali.
Nutriamo pertanto una fervida speranza nel fatto che neanche uno resterà per lungo tempo un'isola sperduta. La nostra inesauribile fiducia nell'essere umano e nelle relazioni ci spinge a credere convintamente che nessun processo sia irreversibile, che nessuno sia solo e che ognuno possa essere fiutato, visto e riagganciato da un'altra persona, professionista o non che sia. Abbiamo contezza di un numero significativo di persone che sono riuscite, persino in questo tempo di ritirata, a cogliere le novità, la leggerezza e il nutrimento psichico in relazioni ridefinite o in momenti inaspettati. Individui che non hanno smesso di pulsare, di vivere e di muoversi pur stando fermi e chiusi in casa. Corpi che, passata la fase dello shock iniziale tipica di tutti gli eventi traumatici, hanno iniziato lentamente a ri-orientarsi, a tracciare una direzione, iniziare a sentir-e/-si e a pensar-e/-si. Con la stessa convinzione che questo evento non possa essere definito una catastrofe paragonabile ad una guerra o ad una calamità naturale, conserviamo adeguato giudizio clinico e sociale per sostenere che non si sia trattata di una vacanza né di una pausa dalla routine, in quanto nessuno ha scelto sulla base di un bisogno questo "fermarsi". Ci saremo ad un certo punto domandati, ciascuno con tempi e modalità differenti, che senso e significato dare a questa dimensione vitale coatta. Siamo dell'idea che è stato importante non lasciar andare nessuno dei nostri sogni o accantonare nessuno dei nostri progetti, continuando a riporre fiducia in ciò che è stato costruito con passione e tenacia fino al 10 marzo 2020, giorno ufficiale del lock down.
È stato senz'altro funzionale "prenderci cura" o "chiedere cura" al fine di riconoscere i luoghi del coraggio e scinderli da quelli della paura. Abbiamo focalizzato la nostra consapevolezza su una dimensione di libertà interiore che non dipendesse dai decreti annunciati in televisione. Essenziale e necessario, non appena torneremo ad espirare, sarà integrare i pezzi di questa esperienza unica nel suo genere come momento funzionale all'elaborazione del trauma da quarantena obbligata; integrare ciò che eravamo, ciò che abbiamo appreso e ciò che sperimenteremo nelle fasi successive. Saremo più consapevoli, più responsabili, più attenti e, di certo, più addolorati. Abbiamo fatto esperienza di distanze inedite, comunque buone e digeribili, che sono diventate un involucro di prossimità, di vicinanze invisibili e salde. Nonostante ci occupiamo di relazioni, ammettiamo una fisiologica incertezza rispetto a come sarà l'approccio all'altro. Non sappiamo dire con esattezza quali aggiustamenti riguarderanno i nostri corpi e i nostri cuori ma siamo fiduciosi sul fatto che le percezioni, il respiro e la gentilezza, praticata verso noi stessi e verso gli altri, sapranno guidare le nostre azioni. Nella riapertura ciascuno ha portato con sé il carico del bagaglio delle proprie aspettative, gioie e preoccupazioni maturate in questo tempo così unico.
È stato un incontro originale con l'altro che ha privilegiato quello che potremmo chiamare il "Tatto visivo", una sintesi sensoriale come mezzo di accesso rispettoso dell'altro e adeguato al periodo di prudenza. Le relazioni della fase due sono mediate dalla vista, senso percettivo capace, insieme all'ascolto e al respiro condiviso, di misurare la temperatura dell'altro. Gli occhi filtrano una relazione tra corpi non solo anatomici ma anche sensibili, intrisi di emozioni trattenute, tensioni e respiri spezzati; il tatto visivo è senso percettivo nato per contrastare la paura e la diffidenza fisiologiche che sentiremo negli incontri interpersonali, specie se ravvicinati (nonostante la distanza di un metro obbligatoria). Faremo dunque "attenzione all'altro" non nel senso più superficiale del significato etimologico ma nel senso più profondo e relazionale. "Osservare attraverso il tatto visivo" sarà necessario per capire quanto l'altro sia disponibile all'incontro. Sarà forte, emozionante, a tratti strambo e per certi versi destabilizzante. Sarà propedeutico pertanto riappropriarsi della capacità di sentire le proprie e altrui emozioni, percepire il calore e il "profumo" dell'altro. Sarà necessario muoversi con passi lenti, attenti e rispettosi non dimenticando ciò che è accaduto e tenendo a mente ciò che potrebbe ancora accadere e che comunque accadrà.
Dovremo inoltre provare a non essere troppo severi con noi stessi, perdonandoci per tutte le volte che avremo paura, bloccheremo la nostra spontaneità o faremo un passo indietro sulla strada che conduce ad un incontro. Occorrerà continuare a nutrire curiosità verso l'altro, domandandosi dove sia finito, dove si sia nascosto, dove viva con dignità la sua sofferenza psicologica, la sua privazione sociale e (a volte) materiale nel tentativo di raggiungerlo e tendergli una mano (con un guanto di seta bianco). Non sarà un processo immediato e semplice ma dovremo dare fondo a tutte le nostre capacità biologiche di adattamento, trovando un modo originale di convivere con il virus senza rinunciare a co-esistere con il diverso da me, parente, amico, paziente, cliente o conoscente che sia. Concludiamo questo viaggio tra pensieri, speranze e riflessioni, fiduciosi nel tempo e consapevoli che siamo nuove regole, siamo nuove vicinanze e siamo corpi rinnovati che hanno accusato un colpo durissimo. Siamo nuove emozioni che si stratificano e nuove memorie fissate nella mente e sulla pelle. Ma siamo anche, e soprattutto, dei fantastici acrobati capaci di adattarsi a nuovi equilibri se adeguatamente sostenuti dal filo dell'umanità, della reciprocità e della bellezza.
di Michele Cannavò e di Azzurra Alù
Selezione lo specialista e fissa un incontro.